Con Vita privata, Rebecca Zlotowski realizza uno dei suoi film più enigmatici e personali, affidando a Jodie Foster un ruolo che fonde lucidità analitica e fragilità emotiva. Lontana da ogni thriller convenzionale, Zlotowski costruisce un’opera atmosferica, pulsante di ambiguità, in cui l’indagine su una morte sospetta diventa un pretesto per mettere a nudo la mente di una donna. Al cinema dall’11 dicembre 2025.

Trama
Lilian Steiner, psichiatra americana che vive a Parigi, vede la sua vita ordinata sconvolta dalla morte improvvisa di Paula, una sua paziente di lunga data. Sebbene il caso venga subito archiviato come suicidio, Lilian intuisce che qualcosa non torna e comincia a indagare per conto suo. Mentre cerca indizi nel passato di Paula e nelle loro sedute, finisce per mettere in discussione anche la propria memoria, le proprie responsabilità e la stabilità emotiva che credeva di avere. L’indagine esterna si trasforma così in un viaggio interiore, dove realtà, ricordo e suggestione iniziano a confondersi.

Recensione
Con Vita privata, Rebecca Zlotowski realizza uno dei suoi film più maturi e ambiziosi, giocando su un equilibrio sottile tra thriller psicologico e dramma interiore. Al centro del racconto c’è Lilian Steiner, interpretata da una sorprendente Jodie Foster, che torna al cinema francese con una performance controllata, nervosa, vibrante di vulnerabilità. Zlotowski costruisce attorno a lei un universo fatto di eleganza apparente e tensione sotterranea, dove ogni gesto e ogni silenzio suggeriscono un mondo interiore sul punto di incrinarsi.
Il film prende avvio dalla morte sospetta di una paziente, ma ben presto abbandona la struttura del giallo tradizionale per addentrarsi in territori più ambigui. L’indagine diventa una lente attraverso cui osservare la mente della protagonista: le sue omissioni, le sue colpe, i ricordi che emergono come frammenti onirici. Questo passaggio dal reale al simbolico è uno dei punti di forza del film, che preferisce insinuare dubbi piuttosto che fornire risposte, facendo dello smarrimento emotivo un elemento narrativo centrale.
Zlotowski dirige con mano sicura, immergendo Parigi in un’atmosfera sospesa, quasi insonne, dove gli interni borghesi e le luci soffuse riflettono la complessità psicologica della storia. L’estetica curata, i dialoghi misurati e l’uso ricorrente di sogni e flash interiori creano un tessuto cinematografico perturbante e seducente, che avvolge lo spettatore più sul piano emotivo che su quello razionale. Una pellicola che vive di atmosfera, sguardi e inquietudini sottili, e che conferma la Zlotowski come una delle voci più interessanti del cinema francese contemporaneo.

























