Dopo anni di silenzio forzato e restrizioni, Jafar Panahi torna con Un semplice incidente, il film che gli è valso la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2025. Girato in semiclandestinità tra Teheran e zone rurali iraniane, il film conferma il regista come una delle voci più lucide e coraggiose del cinema contemporaneo. Nel cast spiccano Navid Mohammadzadeh, Taraneh Alidoosti e Mehdi Bajestani, interpreti di una storia che trasforma un episodio quotidiano in una riflessione profonda sulla giustizia e sul peso delle scelte individuali. Al cinema dal 6 novembre.

Trama
In una città iraniana, un banale incidente stradale mette in contatto tre persone che non avrebbero mai dovuto incontrarsi: un ex detenuto politico, la giovane figlia di un ufficiale del regime e un autista che cerca solo di sopravvivere.
Ciò che sembra un episodio senza importanza diventa il punto di partenza di una spirale di tensione, segreti e rimorsi. Mentre la polizia indaga, le vite dei protagonisti si intrecciano in un gioco di colpe e responsabilità che rivela la fragilità morale di un sistema intero.

Recensione
Costretto a lavorare in condizioni di censura, Panahi trasforma i limiti in linguaggio. La regia è essenziale, quasi documentaria: inquadrature fisse, ambienti chiusi, luce naturale. Ogni scena trasmette la sensazione di osservare qualcosa che non dovrebbe essere filmato, un frammento rubato alla realtà. Il risultato è un film teso, controllato, ma mai freddo. La tensione cresce in silenzio, alimentata dai non detti e da una fotografia che alterna la claustrofobia degli interni alla vastità desolata delle strade iraniane.
Come nelle sue opere precedenti (Taxi Teheran, Tre volti), il regista mescola realismo e allegoria. L’“incidente” diventa simbolo del rapporto ambiguo tra individuo e Stato, tra colpa personale e colpa collettiva. Non ci sono eroi né colpevoli assoluti: solo persone intrappolate in un sistema che punisce anche chi prova a capire.
Un semplice incidente è un film che parla sottovoce ma lascia il segno. Un racconto morale che usa il caso come specchio del destino, e il cinema come atto di libertà. Un film necessario, sobrio, politico che, nella sua scena finale, racchiude l’essenza del cinema di Jafar Panahi: ambigua, sospesa, profondamente umana.

























