The Running man è un film del 2025 diretto da Edgar Wright, sceneggiatura di Michael Bacall, Edgar Wright, basato sul romanzo di Stephen King , con : Glen Powell, Josh Brolin, Katy O’Brian, Lee Pace, Emilia Jones, William H. Macy, Michael Cera, Karl Glusman, Jayme Lawson, Daniel Ezra
Trama
In un futuro prossimo, la TV è diventata legge, la morale un optional.
The Running Man è il reality show più seguito del mondo: un gioco mortale dove i concorrenti, chiamati “Runner”, devono fuggire per trenta giorni, in diretta, mentre vengono braccati da spietati killer professionisti noti come “Cacciatori”.
Ogni esecuzione è uno share da record.
Ben Richards (Glen Powell) non è un eroe. È un uomo qualunque costretto a un ricatto: partecipare allo show per salvare la figlia malata.
A convincerlo è Dan Killian (Josh Brolin), il carismatico e crudele produttore del programma, un manipolatore capace di trasformare la paura in intrattenimento e la morte in spettacolo.
Ma Ben non segue il copione.
Corre, lotta, resiste — e contro ogni previsione diventa un idolo.
Il pubblico lo acclama, gli ascolti esplodono, i “nuovi dollari” circolano con l’effige di Arnold Schwarzenegger, simbolo ironico e nostalgico di un passato cinematografico che ritorna come merce.
Ma più il successo cresce, più il gioco si fa mortale.
Ben non deve affrontare solo i suoi inseguitori… ma un’intera nazione che vuole vederlo cadere.

Recensione – L’implacabile: un Frankenstein cinematografico riuscito
Edgar Wright non firma un semplice remake, ma una vera riedizione evolutiva del romanzo di Stephen King.
Il regista di Baby Driver e Scott Pilgrim costruisce un action-comedy pop dal ritmo forsennato, in cui la violenza diventa coreografia e la critica sociale danza al tempo di una colonna sonora irresistibile.
Il film è una macchina perfettamente oliata: dinamica, colorata, pulsante.
Ogni scena ha “le ruote”, si muove veloce, non si ferma mai — anche se la durata (2 ore e 15 minuti) si fa sentire.
Un futuro satirico, fin troppo vicino
L’ambientazione è una profezia cupa e amara: un’America dove la polizia è privatizzata dai network, la giustizia è uno show e l’onestà non paga.
Il film è un colpo di frusta morale mascherato da intrattenimento.
Dietro la spettacolarità pop di Wright, c’è una critica feroce alla società dello spettacolo e al potere anestetizzante dei media.

Glen Powell: il camaleonte necessario
Glen Powell è semplicemente perfetto.
Nel ruolo di Ben Richards riesce a fondere disperazione, ironia e carisma con una naturalezza disarmante.
La sua capacità di trasformarsi — travestendosi da prete, cieco e barbone pur di sopravvivere — è sfruttata al massimo, ricordando la sua vena trasformista già vista in Hit Man – Killer per caso.
Powell è il cuore pulsante del film: vulnerabile e spavaldo, umano e simbolico allo stesso tempo.
Planimetria finale: la fusione dei generi
Wright costruisce un ibrido perfettamente coerente con il suo stile.
Un Frankenstein cinematografico in cui convivono:
Il cuore di King: la disuguaglianza sociale, la caccia all’uomo come metafora della sopravvivenza.
La matrice di The Truman Show: la televisione onnipotente che trasforma la vita (o la morte) in reality.
La violenza istituzionalizzata di The Purge: l’idea della violenza legalizzata come strumento di controllo e sfogo collettivo.
Il risultato è un film distopico travestito da action pop: cupo nel messaggio, brillante nell’esecuzione, in perfetto equilibrio tra spettacolo e denuncia.
Punti di debolezza
La durata è l’unico vero nemico.
Due ore e un quarto dense di azione, ironia e sottotesti politici possono stancare anche lo spettatore più allenato.
Wright inserisce temi importanti — apartheid sociale, IA, disonestà sistemica, manipolazione mediatica — ma a volte la quantità di idee rischia di saturare.
È un film generoso, forse troppo.
In conclusione
The Running Man è un film intelligente, visivamente potente e narrativamente ambizioso.
Non è solo un remake, ma un’evoluzione cinematografica del genere: un’opera che corre veloce, inciampa talvolta, ma lascia il segno.
Edgar Wright firma una riflessione spettacolare sulla violenza come show e sulla libertà come atto di ribellione.
In un mondo dove i dollari portano il volto di Schwarzenegger, la vera corsa è quella per non smettere di pensare.

























