The Brutalist è un film del 2024 diretto da Brady Corbet, con : Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce.
Sinossi:
The Brutalist si svolge nell’arco di 30 anni e racconta la vita dell’architetto ebreo László Toth e sua moglie Erzsébet (Adrien Brody e Felicity Jones).Siamo nel 1947 in Ungheria, quando la coppia, sopravvissuta all’olocausto, decide di andare a vivere negli Stati Uniti. Toth è un architetto visionario di grande talento e spera di trovare oltreoceano, terreno fertile per i suoi progetti. Il “sogno americano” finalmente si avvera quando incontra il ricco industriale Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce) che gli commissiona la realizzazione di un grande monumento modernista. Per László è la sfida più importante della sua carriera. Ma dopo aver raggiunto l’apice, dovrà fare i conti con il rovescio della medaglia.
Recensione:
The Brutalist è un film complesso, stratificato, stilizzato, autoriale. E’ insomma un classico incubo per lo spettatore comune. Il film si presenta cosi strutturato : una ouverture,2 capitoli ed un epilogo. La sceneggiatura nell’ abbracciare trent’anni di vita del protagonista Laszlo Toh (un ispirato e sofferente Adrien Brody) sollecita tutti i 5 sensi dello spettatore oltre che affascinare mente ed anima.
Nell’overture lo spettatore è fortemente sollecitato dovendo ascoltare una musica tambureggiante, invasiva ed avvolgente. Altresì deve porre attenzione alla voce di una donna che legge una lettera indirizzata a Laszlo, mentre il protagonista si trova in mezzo al caos di una folla urlante. L’uomo sta infatti sbarcando in America, senza avere sfortunatamente alcuna notizia nè della moglie né della nipote Zsofia.
Il primo capitolo ci mostra il tentativo di Laszlo d’inserimento nella mentalità e società americana lavorando con il cugino nel mobilificio. Quando i due cugini ricevono l’ importante incarico da parte del figlio di Van Buren di rinnovare la libreria del padre, sembra essere arrivata la grande occasione. Ma l’entusiasmo è gelato dalla brusca quanto furiosa reazione del magnate, sorpreso negativamente dal cambiamento della stanza. Laszlo si ritrova in mezzo alla strada, senza nessuno sui contare e costretto a vivere con il cibo della Caritas.
Laszlo pur essendo nella terra dei sogni , è respinto e messo agli argini, perché uno straniero mal tollerato da un Paese impaurito dalla minaccia comunista. Quando tutto sembra perduto, Laszlo riceve l’inaspettata visita del magnate Van Buren (Un Guy Pierce che si rivela sempre a suo agio, nei ruoli rudi, spietati) che ricredutosi sulla bontà del lavoro svolto dall’architetto, gli offrirà l’incarico di progettare un faraonico ed ambizioso centro in onore di sua madre defunta. Il primo capitolo va valutato come decisamente il più fruibile, comprensibile, godibile e narrativamente lineare nonostante qualche passaggio prolisso ed un ritmo piuttosto compassato.
Il secondo capitolo è caratterizzato dal ricongiungimento familiare di Laszlo con moglie e nipote e l’impegnativo e stressante lavoro di progettazione. Laszlo vive questo progetto come una sfida personale oltre che professionalmente, spingendosi in un vortice ossessivo che lo porterà ad abusare sempre dell’oppio diventandone dipendente e schiavo.
Un secondo capitolo che si sviluppa in modo molto caotico sul piano narrativo, nonostante siamo di fronte ad una messa in scena sofisticata, visivamente elegante. Il ricongiungimento familiare è inizialmente fonte di gioia per tutti, ma lentamente si crea una distanza emotiva ed intima tra Laszlo e la moglie. Un tragico incidente durante i lavori spinge il magnate a sospendere i lavori e licenziare in tronco Laszlo.
Dopo amari e duri anni, ancora una volta, il collerico e nevrotico magnante Van Buren richiamerà l’architetto per riprendere i lavori. Nonostante i precedenti negativi, l’ambizione di Laszlo è più forte, accettando l’incarico. La dipendenza all’oppio diventerà sempre più invalidante per Laszlo, al punto di rischiare anche la vita della moglie durante un momento drammatico.
Il tira e molla con Van Bruen giunge al punto di rottura nel 1973 lasciando l’opera incompiuta, ma non impedendo però al talento di Laszlo d’essere apprezzato in tutto il paese.
L’epilogo ambientato nel 1980 ci porta a Venezia , all’inaugurazione della prima Biennale di architettura in cui si celebra il talento e fama dell’ormai anziano Laszlo. Un epilogo piuttosto forzato e soprattutto da ritenere quasi fuori contesto e privo di legame con quanto visto ed ascoltato in precedenza.
In conclusione lo spettatore pensa di aver assistito ad una visione non banale, ambiziosa e magari originale, ma concretamente di aver partecipato anche ad un lungo e tedioso esercizio di stile con tanto fumo e poco arrosto.