Dopo “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out”, Gabriele Mainetti torna dietro la macchina da presa con La città proibita, un revenge movie in salsa italo-cinese che omaggia non solo il cinema delle arti marziali ma cita, senza sfigurare, Quentin Tarantino e John Carpenter. Mei (Yaxi Liu), una giovane cinese esperta di kung fu, arriva a Roma alla ricerca della sorella scomparsa, Yun. Le due sorelle erano state separate in Cina a causa della politica del figlio unico. A Roma, Mei incontra Marcello (Enrico Borello), figlio di un ristoratore romano in difficoltà economiche, Alfredo (Luca Zingaretti). Insieme, si immergono nel sottobosco criminale della città, affrontando pericoli e sfide nel tentativo di ritrovare Yun. Mischiando generi – commedia all’italiana, azione, sentimento e kung fu – e linguaggi audiovisivi differenti, La città proibita mostra intenti e ambizioni sin dalla scena d’apertura e nei suoi successivi 10 minuti: conosciamo la nostra eroina attraverso un piano sequenza d’azione, ambientata idealmente in Cina, salvo poi, farla uscire per strada e rivelarci che siamo a Roma, quartiere Esquilino. Piazza Vittorio diventa, così, una sorta di China Town della capitale, il centro di una Roma multietnica e multiculturale, dove romani, cinesi, africani, pakistani coabitano. Prendendo spunto sia dalla tradizione orientale che dalla forte romanità di alcuni personaggi, Mainetti realizza una favola metropolitana, un’epopea ricca di azione e di sentimento. Un’opera fortemente cinematografica, diretta stupendamente, anche e soprattutto nella parte coreografata dei combattimenti, che sfida il mainstream e ci regala un’eroina che non potrete che amare alla follia. Innovativo, sorprendente, divertente, affascinante e dal ritmo incalzante, La città proibita dimostra che è possibile sperimentare e fare un cinema diverso anche in Italia. Un’opera forse divisiva ma che difficilmente annoierà lo spettatore.Trama
Recensione
La città proibita – Recensione del nuovo film di Gabriele Mainetti
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