Kill the Jockey di Luis Ortega
Cast: Úrsula Corberó, Nahuel Pérez Biscayart, Daniel Giménez Cacho, Mariana Di Girólamo, Daniel Fanego
Trama
Kill the Jockey è un film argentino diretto da Luis Ortega, che ci porta dentro il mondo oscuro, brutale e affascinante dell’ippica professionale. Protagonisti della storia sono Remo (Nahuel Pérez Biscayart), un fantino affermato ma in declino, e Abril (Úrsula Corberó), giovane promessa in ascesa.
Quando Abril scopre di essere incinta, deve affrontare una decisione difficile: portare avanti la gravidanza, rischiando la sua carriera, o abortire per inseguire la gloria. Remo, nel frattempo, combatte contro i suoi demoni personali: dipendenze, crisi d’identità e un passato ingombrante.
A complicare le cose c’è Sirena (Daniel Giménez Cacho), potente uomo d’affari che ha investito molto su Remo e pretende risultati. Un incidente durante una gara cambia tutto: Remo finisce in coma, ma al suo risveglio si identifica come Dolores, figura enigmatica legata al mondo delle corse clandestine.
Recensione
Siamo solo al secondo giorno di festival, ma Kill the Jockey è già il film che manda in crisi il vostro inviato. Arriva dall’Argentina e porta con sé un turbine di emozioni, atmosfere rarefatte e scelte narrative che faranno discutere.
Il film ci trascina nel cuore marcio dell’ippica professionale, tra scommesse truccate, padroni corrotti e fantini trattati come carne da macello. Ma Kill the Jockey non si limita a raccontare un mondo: lo esplode dall’interno.
Luis Ortega costruisce un racconto inizialmente teso e coerente, incentrato sulla crisi esistenziale di Remo Manfredini – interpretato da un sorprendente Nahuel Pérez Biscayart, credibile anche nei momenti più estremi. Remo è un fantino sull’orlo del baratro, un ex campione diventato zombie, schiavo delle droghe e dell’alcol, mentre la sua compagna Abril dimostra forza e talento.
Il momento di rottura arriva con un gesto estremo: durante una gara, Remo decide di schiantarsi contro le protezioni, distruggendo tutto. È un suicidio simbolico, una liberazione. Da qui il film cambia pelle – letteralmente.
Remo si risveglia dal coma… ma non è più lui. È Dolores, una figura che si impone con forza, cambiando tono, ritmo e direzione al film. Qui Ortega osa: mescola identità di genere, allucinazione, thriller, e simbolismo, ma lo fa in modo tanto coraggioso quanto disorientante.
La seconda parte del film, infatti, sfocia in una narrazione più caotica, autoriale e meno accessibile. Il messaggio sulla libertà personale e sulla ricerca dell’identità è potente, ma il racconto perde coerenza, complice anche l’inserimento di due triangoli amorosi (Dolores/Abril/Sirena e Dolores/Abril/una terza fantina) che appesantiscono e confondono.
Il titolo Kill the Jockey assume a questo punto un nuovo significato, intimo e simbolico: Remo era la prigione di Dolores. Uccidere il fantino è l’unico modo per liberare la vera identità. Una metafora potente, ma servita in una sceneggiatura che avrebbe giovato di maggiore equilibrio.
Va comunque riconosciuto a Biscayart il merito di reggere l’intero film con un’intensità rara: la sua interpretazione è il vero collante dell’opera, credibile anche nei momenti più surreali.
Conclusione
Kill the Jockey è un film festivaliero nel senso più pieno del termine. Visionario, coraggioso, ma anche imperfetto. Non piacerà a tutti, e forse non vuole nemmeno farlo. È un’esperienza più che una semplice visione.
Dopo averlo visto, il mondo dell’ippica – e forse anche quello dell’identità – vi sembrerà completamente diverso.