Karate Kid: Legends è un film del 2025 diretto da John Entwistle, sceneggiatura di Rob Lieber, con : Ben Wang, Jackie Chan, Ralph Macchio, Joshua Jackson, Shaunette Renée Wilson, Aramis Knight.
Trama:
Dopo la tragica morte del fratello, Li Fong (Ben Wang), giovane promessa del kung fu a Pechino, è costretto a lasciare la sua scuola e trasferirsi a New York con la madre, che ha trovato lavoro come dottoressa. Nella metropoli americana incontra Victor (Joshua Jackson), ex pugile tormentato dai debiti, e sua figlia Mia (Shaunette Renée Wilson), unica vera amica nella nuova scuola.
Un’aggressione improvvisa da parte di Conor (Aramis Knight), campione locale di karate ed ex di Mia, riaccende in Li la voglia di combattere, nonostante il divieto della madre e la presenza invadente di un tutor coetaneo. Deciso ad aiutare Victor a tornare sul ring e a sua volta a partecipare al torneo dei “5 Boroughs”. Li inizia un nuovo percorso di allenamento, guidato da Mr. Han (Jackie Chan), che chiederà aiuto anche a Daniel LaRusso (Ralph Macchio), il primo leggendario “Karate Kid”.
Recensione
Per unire l’universo Karate Kid e aprire un nuovo capitolo nel 2025 serviva un’idea semplice, ma potente. E infatti Karate Kid Legends inizia con una scena di Karate Kid II (1986): Il maestro Miyagi mostra a Daniel il legame tra il karate e il kung fu, pronunciando la frase
“Due rami dello stesso albero”.
Ecco il mantra, il cuore e l’identità di questo film.
L’intenzione è chiara fin da subito: condensare lo spirito dei tre Karate Kid classici in una storia nuova, capace di parlare sia a chi è cresciuto con i film, sia ai ragazzi che hanno scoperto il franchise grazie alla serie Netflix Cobra Kai.
Il risultato? Un ibrido che tenta di accontentare tutti, rischiando però di non lasciare un segno vero a nessuno.
Li non è Daniel, ma il parallelismo è ovvio. Cambia lo scenario (dalla Cina a New York), cambiano le arti marziali (entra anche la boxe), ma resta intatto il percorso dell’eroe giovane ed alla ricerca di sè stesso.
Tuttavia, il film soffre della sindrome da compitino ben fatto: si segue con piacere, ma senza mai stringere davvero lo stomaco. Certo, l’idea di far combattere nei vicoli, nei parcheggi, nei tetti di grattacieli invece che nelle classiche palestre ha un suo fascino.
New York diventa una specie di Colosseo metropolitano: ruvida, caotica, sempre pronta a colpire. Ma il film, pur giocando bene le sue carte visive, resta più scenografico che emozionante.
Il tema della paura e del senso di colpa che ne deriva è uno dei più interessanti. Li combatte per sopravvivere al lutto e superare il trauma.
Peccato che, mentre il vecchio mantra di Cobra Kai era nessuna pietà. Qui invecesi sente dire si combatte per uccidere, ma senza che questo produca veri brividi.
Il film funziona meglio quando si affida alla nostalgia: Jackie Chan, sempre carismatico, si prende la scena con la naturalezza di chi gioca in casa.
Ralph Macchio, invece, fa un’apparizione più simbolica che utile, ma sappiamo bene che certe strizzatine d’occhio fanno parte del gioco.
La struttura narrativa è prevedibile, a tratti un po’ dilatata. Si arriva al torneo dopo quasi un’ora, e ci si chiede se tutto quello che è successo prima fosse davvero indispensabile. I combattimenti finali sono spettacolari, sì, ma non vibrano come dovrebbero: belli da vedere, poco da sentire.
Karate Kid Legends vuole essere un ponte tra epoche, tra stili, tra generazioni. Un ponte su cui, volendo, si possono fare i primi passi. Ma se ci sarà un sequel, forse è il caso di cambiare direzione, o almeno velocità