Leonardo Di Costanzo, al suo quarto lungometraggio, firma, con Elisa, il suo film più radicale e spiazzante. Con una Barbara Ronchi assoluta protagonista. Nel cast Roschdy Zem, Diego Ribon, Valeria Golino.
Trama
Elisa, trentacinquenne detenuta da dieci anni per l’omicidio della sorella, sostiene di non ricordare nulla del delitto. Un criminologo (Roschdy Zem) decide di coinvolgerla in un percorso di ricerca che mette a nudo silenzi, rimozioni e frammenti di memoria. Nel confronto con chi indaga e con chi chiede giustizia, emerge un ritratto ambiguo e inquieto: più che ricostruire un fatto, il film esplora l’enigma del male e la possibilità (o l’impossibilità) della comprensione.
Recensione
Elisa è un’opera che si muove lenta e precisa, senza mai alzare la voce, lasciando che siano i vuoti e i silenzi a parlare. Leonardo Di Costanzo non cerca la tensione del thriller né la catarsi del dramma giudiziario: costruisce invece un dispositivo filmico che mette lo spettatore davanti a un enigma morale ed emotivo, senza concedere soluzioni.
La regia lavora sull’essenzialità: inquadrature ferme, dialoghi ridotti all’osso, un ritmo quasi ipnotico che sembra imitare la sospensione del tempo carcerario. La fotografia di Luca Bigazzi contribuisce a questo clima di sospensione, alternando penombre claustrofobiche a lampi di luce che diventano metafora visiva di una memoria che riaffiora e subito si sottrae. Il film procede così per scarti minimi, per ellissi e frammenti, interrogando la possibilità stessa di raccontare il male.
Ma ciò che davvero colpisce è l’interpretazione di Barbara Ronchi: una protagonista che sembra recitare sempre sul filo del dubbio, sospesa tra vulnerabilità e manipolazione. In lei convivono la fragilità di chi è intrappolato e la durezza di chi forse non vuole liberarsi davvero. Accanto a lei, Roschdy Zem e Valeria Golino incarnano due poli etici contrapposti: il tentativo di comprendere e la necessità di condannare.
Elisa respinge l’emozione facile per inseguire un rigore quasi ascetico. Il rischio è quello della freddezza, ma è proprio in questa distanza che il film trova la sua forza: costringe a pensare, a interrogarsi, a restare irrisolti.