Con Duse, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, Pietro Marcello prova a restituire sul grande schermo il mito della più enigmatica attrice italiana. Assoluta protagonista Valeria Bruni Tedeschi. Nel cast Noémie Merlant, Mimmo Borrelli, Fausto Russo Alesi, Marcello Mazzarella, Fanni Wrochna. Al cinema dal 18 settembre.
Trama
Nel crepuscolo della sua carriera, Eleonora Duse — icona del teatro moderno — affronta il logorio del corpo e il peso del mito che l’accompagna. Sullo sfondo dell’Italia sconvolta dalla Grande Guerra e segnata dall’ascesa del fascismo, la “Divina” vive i contrasti tra la gloria passata e l’inevitabile declino, tra l’amore tormentato per D’Annunzio e il rapporto difficile con la figlia Enrichetta. Pietro Marcello racconta la Duse non come statua celebrativa, ma come donna fragile e combattuta, sospesa tra desiderio di arte e consapevolezza della fine.
Recensione
Duse è un film ambizioso, poetico, che tenta una forma di biografia non convenzionale, e in gran parte riesce nell’intento di farci “sentire” la Duse — non solo vederla. Eppure, proprio nella sua ambizione, il film mostra alcuni punti deboli che rendono l’esperienza narrativa meno incisiva di quanto si speri.
Valeria Bruni Tedeschi offre una performance vibrante, spigolosa, lontana dalla reverenza: la sua Duse è fragile, stanca, ma non doma. È qui che il film trova i suoi momenti migliori, nel mostrare un’attrice che vive il crepuscolo della carriera e della vita con un corpo che tradisce. Tuttavia, i meriti attoriali si scontrano con la regia di Marcello: le immagini, come sempre nel suo cinema, sono potenti, ma la frammentarietà narrativa e il ritmo dilatato rischiano di trasformare l’incanto in stasi.
Il film preferisce spesso il simbolo alla cronaca, il suggestivo al dettaglio concreto. Questo comporta che alcune scelte narrative o di mise en scène appaiano più “delicate” che incisive: forse troppo velate per chi cerca un racconto con maggior rigore storico o che esplori con profondità le contraddizioni della protagonista. Duse è quindi un’opera ambiziosa, affascinante ma incompiuta. Ha il coraggio di non “raccontare tutto”, ma paga il prezzo di non affondare abbastanza, lasciando la sensazione di un’occasione solo parzialmente colta.