Lynne Ramsay torna dietro la macchina da presa con Die My Love, un dramma psicologico che promette di scuotere lo spettatore dal profondo. Il film — tratto dal romanzo Ammazzati, amore mio (in originale Matate, amor) di Ariana Harwicz — vede nel ruolo della protagonista Jennifer Lawrence, una giovane madre travolta da una spirale di solitudine, depressione post-partum e crisi esistenziale. Al suo fianco, Robert Pattinson interpreta Jackson, il marito che assiste impotente al deteriorarsi della sua compagna e del loro rapporto. Al cinema da giovedì 27 novembre.

Trama
Grace, giovane madre in un villaggio isolato, scivola in una crisi emotiva sempre più profonda mentre il marito Jackson tenta invano di aiutarla. La maternità, anziché salvarla, la spinge verso un abisso di desiderio, rabbia e smarrimento. Die My Love segue questo lento e doloroso affondare, raccontando il crollo mentale di una donna intrappolata tra la vita che ha e quella che teme di non poter più raggiungere.

Recensione
Con la sua firma stilistica distintiva, Ramsay trasforma il dramma interiore in esperienza visiva: paesaggi silenziosi diventano prigioni dell’anima, il quotidiano si carica di tensione, e la maternità viene rivisitata con crudeltà e onestà, come se il dolore non fosse un tema ma un materiale, una sostanza da modellare. Il film è costruito come un diario emotivo senza punteggiatura, dove ogni immagine pulsa, si contrae, respira male. La regia taglia le scene come se fossero ricordi: frammenti, flash, improvvisi scoppi di vita che poi si richiudono su sé stessi. La fotografia sfiora il realismo ma non lo abbraccia mai del tutto: è come se l’intera messa in scena fosse sull’orlo di un collasso emotivo.
Grace — il corpo febbricitante di Jennifer Lawrence — non è un personaggio da comprendere, ma da attraversare. Lo spettatore non la guarda: ci cade dentro. Die My Love non consola. Non spiega. Ti invita a stare lì, dove la maternità smette di essere mitologia e torna a essere umano terreno instabile. È un’opera che sembra dire: se vuoi capire, devi non capire. Devi accettare la confusione, la rabbia, la fame di libertà che brucia senza diventare mai fiamma.
ll risultato è un film che non cerca consolazioni, ma chiede allo spettatore di guardare in faccia la fragilità, la paura, il senso di smarrimento e ti fa uscire dalla sala con un nodo alla gola che non sai nominare. Non ti chiede di compatire Grace, ma di riconoscere che in quella vertigine c’è qualcosa che appartiene a tutti: la paura di non bastare, il desiderio di sparire e al tempo stesso di essere visti. È un film che non ti tiene la mano. Ma ti guarda, e ti dice la verità.

























