Dopo il successo internazionale di Talk to Me, Danny e Michael Philippou tornano con Bring Her Back – Torna da me, un’opera che non ha paura di guardare il dolore in faccia. Protagonisti Billy Barratt, Sally Hawkins, Jonah Wren Phillips, Sora Wong. Dal 30 luglio al cinema.
Trama
Andy e Piper (Billy Barratt, Sora Wong) due fratellastri rimasti orfani, vengono affidati a Laura (Sally Hawkins), una donna dall’apparenza affettuosa ma segnata da un lutto oscuro. La loro nuova “famiglia” nasconde rituali inquietanti, manipolazioni psicologiche e un silenzioso bambino, Oliver (Jonah Wren Phillips), la cui presenza turba fino ai nervi del volto.
Recensione
Fino a che punto il desiderio di salvare una creatura amata può trasformarsi in mostruosità? Bring Her Back – Torna da me affonda le sue radici nell’abisso emotivo del dolore e del trauma. Non è un horror nel senso più comune del termine, non vuole spaventare: vuole contaminare. Qui l’orrore nasce dal bisogno umano di non lasciare andare. Il dolore, se non elaborato, si fa ossessione.
I Philippou giocano sul filo sottile tra empatia e manipolazione. La regia è precisa, mai gratuita: il sangue non esplode, ma gocciola, lenta come la colpa. I momenti più disturbanti non derivano da ciò che si vede, ma da ciò che si intuisce: uno sguardo, un gesto fuori tempo, una carezza troppo insistente.
Tecnicamente, il film è elegante: fotografia in tonalità fredde, con bagliori dorati nei momenti di falsa pace. Il suono è curato con maniacale attenzione: ogni fruscio, ogni respiro amplificato sembra grattare sulla pelle dello spettatore.
Bring Her Back è un’opera disturbante, forte, precisa: non cerca di piacerti ma vuole scuoterti. Un’opera che scava a fondo e che lascia nello spettatore – almeno in quello più attento e sensibile – una forte inquietudine, capace di restare anche quando le luci della sala si riaccendono.