Con Alpha, Julia Ducournau continua il suo percorso nel cinema del corpo, ma questa volta sposta l’asse dalla dimensione individuale di Raw e Titane a un terreno più collettivo, quasi mitico. Presentato in concorso a Cannes, nei nostri cinema a partire dal 18 settembre.

Trama

Negli anni Ottanta, la tredicenne Alpha (Mélissa Boros) torna da una festa con un tatuaggio e il sospetto di aver contratto un misterioso virus che pietrifica lentamente i corpi. Mentre la madre, medico, cerca di proteggerla e lo zio tossicodipendente riemerge nella loro vita, la ragazza affronta l’adolescenza come un territorio di paura, fragilità e trasformazione.

Recensione

Attraverso l’allegoria della malattia che pietrifica, la Ducournau racconta non solo la paura sociale, la fragilità del crescere, la brutalità della dipendenza e l’ombra di un’epidemia che negli anni Ottanta evocava lo spettro dell’AIDS, ma parla anche della nostra memoria recente e del Covid. La regista si muove su un doppio registro: da un lato l’intimità familiare, con una madre ostinatamente protettiva e uno zio segnato dalla tossicodipendenza; dall’altro, la dimensione dell’adolescenza di Alpha, sospesa tra curiosità, incoscienza e una colpa non del tutto compresa. È qui che il film trova la sua vera forza: nel raccontare l’adolescenza non come fioritura, ma come momento di esposizione estrema al contagio — biologico, sociale, affettivo.

Dal punto di vista visivo, Alpha alterna momenti di stupefacente suggestione — i corpi che si incrinano e si pietrificano hanno una bellezza spaventosa, quasi caravaggesca — a sequenze più statiche, dove l’insistenza simbolica rischia di soffocare il ritmo. È un cinema che mette a disagio perché non concede mai neutralità allo sguardo. L’opera risulta, così, frammentaria: i salti temporali, i livelli simbolici, le metafore sovrapposte a volte disperdono la tensione emotiva, rendendo l’esperienza più cerebrale che viscerale.

Alpha è un film irregolare, un’opera disturbante che non cerca di piacere, anzi, cerca di restare sotto pelle, come un’infezione lenta e inesorabile.

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Federica Rizzo
Campana doc, Internauta curiosa e disperata, appassionata di cinema e serie tv, pallavolista in pensione. Mi auguro sempre di fare con passione ciò che amo e di amare follemente ciò che faccio.

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