Con grande clamore e una lunga attesa alle spalle, torna sul piccolo schermo uno dei miti più amati dell’avventura italiana: Sandokan. A quasi cinquant’anni di distanza dallo sceneggiato cult diretto da Sergio Sollima e con protagonista Kabir Bedi, l’eroe pirata, ispirato ai romanzi di Emilio Salgari, torna a vivere e a vestirne i panni è l’attore turco Can Yaman. Accanto a lui brilla un cast internazionale che include anche Alessandro Preziosi (nel ruolo di Yanez), Ed Westwick, Alanah Bloor e John Hannah. Alla regia troviamo Jan Maria Michelini e Nicola Abbatangelo. La serie debutterà su Rai 1 domani 1 dicembre 2025, 8 episodi per quattro prime serate.

Rifare Sandokan significa confrontarsi con un monumento della televisione italiana. Lo sceneggiato del 1976 non fu soltanto un successo: fu un fenomeno culturale, un evento transgenerazionale. Il Sandokan di Kabir Bedi diventò un’icona pop istantanea, un eroe romantico che travolse l’immaginario collettivo con fascino, dolcezza e un senso di mistero quasi magnetico. La versione 2025 nasce in un’epoca televisiva differente, dominata da grande spettacolo, ritmo e fisicità. Can Yaman è un Sandokan più atletico, più tempestoso, più “action hero”: muscoli, sudore, decisione.
3 Motivi per guardare la serie tv Sandokan con Can Yaman
-
Una storia classica riscritta con sensibilità moderna
La trama rilegge la nascita della leggenda della Tigre della Malesia con una lente attualizzata: la lotta contro l’oppressione non è più solo avventura esotica, ma diventa un discorso esplicito su identità, diritti e rapporto con la natura. In alcuni momenti, questa scelta arricchisce la narrazione; in altri, la appesantisce, rischiando di far scivolare il racconto in un didascalismo che Sandokan non ha mai conosciuto. L’amore con Marianna è il vero baricentro emotivo della storia: passionale, tormentato, impossibile. Una dinamica classica che qui viene trattata con un’eleganza sorprendente, soprattutto grazie alla presenza scenica di Alanah Bloor, che riesce a delineare una Marianna moderna senza snaturarne la purezza originaria.
- Una messa in scena poderosa
La prima impressione è quella di trovarsi davanti a una produzione che vuole – e può – competere con i colossi internazionali dell’avventura seriale. Le location mediterranee trasformate in un Borneo ottocentesco funzionano grazie a una fotografia calda, satura, che regala alla giungla una dimensione quasi mitologica.
Le scenografie e i costumi, curati con un’attenzione quasi maniacale, contribuiscono a creare un universo credibile, lontano anni luce dalle atmosfere più “artigianali” dello sceneggiato storico degli anni ’70. È un Sandokan figlio del suo tempo: dinamico, estetico, globalizzato.
3. Un protagonista che divide
Can Yaman, chiamato a rivestire il ruolo più rischioso della sua carriera, affronta la sfida con un impegno evidente. Il suo Sandokan è più istintivo che filosofico, più impulsivo che romantico. Ha carisma, presenza scenica e un fisico scolpito che si presta bene all’immaginario del pirata. Ma non sempre l’intensità regge il confronto con la complessità emotiva che il personaggio richiederebbe. In altre parole: è un Sandokan che incanta l’occhio, ma talvolta fatica a scalfire il cuore. Accanto a lui, spicca Alessandro Preziosi nei panni di Yanez: misurato, ironico, perfettamente calato nel ruolo di spalla brillante. Quando è in scena lui, la serie sembra respirare meglio, trovando un equilibrio tra epica e umorismo.
In conclusione: La nuova serie Sandokan non è perfetta, ma è un’opera coraggiosa, capace di restituire dignità e forza visiva a una figura che meritava da tempo un ritorno all’altezza della sua leggenda. Non rimpiazza il Sandokan di Kabir Bedi – e probabilmente non potrebbe mai farlo – ma prova qualcosa di diverso: creare un Sandokan per il presente, più sporco, più emotivo, più “umano”.

























