Titolo : La bugia dell’orchidea – Autore : Donato Carrisi – Editore : Longanesi – Data Pubblicazione : 11 novembre 2025 – Pagine : 397 -Prezzo : 23,00
Trama
Immagina un’alba d’estate. L’aria immobile della campagna, il frinire dei grilli, il buio che arretra lentamente. Al centro della scena un casale rosso, isolato, con biciclette da bambini abbandonate sulla ghiaia, galline che razzolano e panni stesi che non si muovono. Un silenzio impossibile. Poi un urlo che lo spezza.
In quel casale viveva la famiglia C.: tre bambini, due genitori amorevoli, una normalità tanto perfetta da sembrare finta. Ora non c’è più nulla. Solo un sopravvissuto, e una verità che appare evidente. Troppo evidente. Ogni indizio combacia, ogni dettaglio sembra confermare ciò che tutti credono di sapere. Ma questa non è la fine della storia. È soltanto l’inizio.

RECENSIONE
Con La bugia dell’orchidea Donato Carrisi torna in libreria lasciando per un attimo da parte le sue saghe più celebri. E lo fa con un romanzo che ha la struttura di un trucco di prestigio: ti mostra le mani vuote, poi ti sfila l’asso dalla manica.
La metanarrativa come incantesimo (e trappola)
Il romanzo si apre con l’intervento di una misteriosa scrittrice che parla direttamente al lettore, si nasconde dietro un nome inventato e si prepara a raccontare una storia “vera” che la riguarda più da vicino di quanto lei stessa voglia ammettere.
È un’idea affascinante, da vero romanzo-specchio: identità fluide, bugie come metodo, narrativa che commenta se stessa. Carrisi smonta e rimonta la percezione del lettore come in un gioco di specchi, e per buona parte del romanzo funziona alla grande.

Scrittura per immagini: Carrisi resta il più cinematografico di tutti
Lo stile è quello che conosciamo: rapido, visuale, denso di atmosfera. Il lettore “vede” la scena come fosse un film – e questa non è una sorpresa. Carrisi ha la capacità rara di far scorrere la storia come un piano sequenza, senza sbavature.
La suspense è costruita con mano sicura e la protagonista, ambigua quanto basta, porta avanti la narrazione con un ritmo che non perde mai il suo passo.
Tre finali sono troppi: il romanzo perde il controllo del suo stesso meccanismo
E qui arriviamo al problema. La bugia dell’orchidea sembra scritto come una sceneggiatura in tre atti, ognuno con il proprio finale:
Il finale del romanzo
Il finale della scrittrice che torna a parlare al lettore
Il finale dell’editore, che “spiega” tutto nella nota conclusiva
Un dispositivo interessante sulla carta, ma che nella pratica finisce per spezzare l’immersione. Ogni finale annulla in parte quello precedente, creando una sensazione di sovraccarico. È come se Carrisi avesse avuto tre modi per chiudere il libro e li avesse inseriti tutti, senza scegliere davvero.
L’effetto complessivo è un po’ didascalico, un po’ cinematografico, e toglie qualcosa al mistero invece di potenziarlo.
Funziona? Sì e no. Dipende dal lettore che sei.
Il romanzo resta solido, ben scritto, coraggioso, ma la sua ambizione lo porta a inciampare proprio al momento di chiudere il cerchio. È un esperimento riuscito a metà: intrigante, mai banale, ma troppo consapevole del proprio ingranaggio narrativo.
Chi cerca il Carrisi più puro, quello da brividi in crescendo e colpi di scena chirurgici, potrebbe restare parzialmente deluso.
Un thriller psicologico elegante e metanarrativo, con un’ottima atmosfera e un’idea forte. Ma l’architettura a incastro e la tripla chiusura lo rendono più un esercizio di stile che un’opera davvero incisiva. Resta comunque una lettura consigliata per chi ama i giochi narrativi e i romanzi che riflettono su sé stessi.
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