Due mesi fa, uno dei primi articoli che decisi di scrivere su Lo Spettatore Pagante era rivolto ai miei coetanei boomer, dando loro almeno tre buoni motivi per evitare la visione della serie TV Adorazione di Stefano Mordini.
Stavolta, pur non essendo genitore, mi permetto di consigliare la visione della miniserie Adolescence, composta da quattro episodi e disponibile su Netflix dal 13 marzo.
Adolescence incarna, da un lato, l’incubo peggiore (o quasi) di ogni genitore e, dall’altro, offre allo spettatore la possibilità di comprendere il linguaggio e la complessità degli adolescenti, simili in ogni parte del mondo.
Il confronto tra i due progetti è impietoso, netto, desolante. Tuttavia, emerge chiaramente la qualità, la creatività e la professionalità della TV inglese nel realizzare crime, anche in chiave adolescenziale.
Ci sono tanti motivi per vedere Adolescence e rimanerne drammaticamente conquistati. Ecco i miei tre buoni motivi:
Una sceneggiatura perfetta:
La scrittura è solida, circolare, precisa, priva di sbavature. L’inizio del primo episodio fa credere allo spettatore di assistere all’arresto di un pericoloso criminale. Lo stupore è enorme quando si scopre che il sospettato è un ragazzo di soli 13 anni. Tutto appare eccessivo: la gravità della situazione, la formalità delle procedure adottate dagli agenti. Viene quasi spontaneo pensare a uno scherzo. Ma questa sensazione svanisce con l’interrogatorio del ragazzo alla presenza del padre di Jamie e dell’avvocato d’ufficio. Un video inchioda Jamie alle sue azioni: l’omicidio di una compagna di scuola. Gli sceneggiatori Jack Thorne e Stephen Graham hanno costruito una storia densa e scioccante, partendo dall’arresto per poi allargare il focus narrativo. Viene scandagliato il misterioso e oscuro mondo adolescenziale, interrogandosi sui motivi che possono aver trasformato un tredicenne in un feroce assassino e su quanto un evento simile travolga la famiglia dell’accusato. I quattro episodi sono un crescendo di emozione, dolore e strazio, culminante in un quarto episodio vietato a chi ha la lacrima facile.
Un cast straordinario:
Stephen Graham, oltre ad aver scritto una sceneggiatura gioiello, si è ritagliato il ruolo del padre di Jamie. Con una prova di bravura eccezionale, ha dato al suo personaggio una forza incredibile, recitando per sottrazione e silenzi, apparendo come un grande incassatore fino al magistrale colpo di scena finale. Merita un grande plauso anche il giovane attore Owen Cooper, interprete di Jamie Miller. Il suo è un ruolo difficile, complesso, pieno di sfumature, che avrebbe messo in difficoltà anche un veterano. Owen Cooper stupisce e sconvolge, scomparendo completamente nei panni di Jamie. Lo spettatore rimarrà con il costante dubbio su chi si nasconda dietro la sua faccia d’angelo. Il resto del cast è altrettanto convincente: ogni personaggio è reso in modo credibile e funzionale alla storia.
Un crime realistico e senza fronzoli :
Adolescence è un crime costruito con rigore, dalle fasi dell’arresto e dell’interrogatorio fino all’avvicinamento al processo, con i colloqui tra l’accusato e lo psicologo (terzo episodio). Non ci sono colpi di scena forzati, soluzioni improvvise o redenzioni inverosimili tipiche del crime italiano. Adolescence colpisce perché è tragicamente realistico, duro, angosciante. È la realtà senza abbellimenti.
Adolescence è la miniserie dell’anno? È presto per dirlo, ma sicuramente è una di quelle che farà parlare e riflettere fino alla prossima stagione dei premi.